Il linguaggio della convivenza delle differenze
Dopo le crociate contro i post “non da LinkedIn”,
Dal successo delle grandi lotte di classe contro le parole in inglese,
E se avete amato l’ennesimo paraguru che scopiazza post americani, li traduce (male) e si piglia i meriti (o dei suoi bot)…
LinkedIn vi presenta in esclusiva: i “NO” al linguaggio inclusivo!
Non si possono usare le schwa, gli asterischi, e qualsiasi forma che cerchi di tener conto del femminile e — sì, lo dirò a mio rischio e pericolo — il neutro, altrimenti si millanta di rovinare la lingua italiana (senza dimenticare che la lingua evolve per sua stessa natura).
Peraltro questo dibattito allucinante, mi ricorda un po’ quello sui diritti, ché se vengono dati a chi oggettivamente non li ha riconosciuti oggi allora è levarli invece a chi ce li ha già (è assurdo, ma questa è l’argomentazione).
Ed è un dibattito allucinante specialmente perché la #linguistica stessa oggi, come ben mi insegna Beatrice Cristalli, non si schiera sul dover per forza usarli oppure il divieto di farlo. Semplicemente, proprio in nome dell’inclusione, anzi, della convivenza delle differenze, lascia la scelta all’individuo.
Smettiamola di pensare a questa questione (e non solo) in termini binari.
Il fatto che io usi una certa ortografia non obbliga te a usare la stessa.
Il fatto che io non la usi non impedisce a te di farlo.
E ricordate che l’ortografia non vi leva i diritti, ma al contrario può far sentire vist* chi sinora non si è sentit* così.